Posts written by Agent

view post Posted: 23/9/2017, 14:32     Salve - Presentazioni
Ciao benvenuto, spero ti troverai bene
view post Posted: 24/4/2017, 13:42     RIP Wasp - Tanker Enemy and His Enemies
Omaggiamo l'amico-nemico Wasp con cui molti di noi hanno candiviso campi di battaglia, sull'uno o sull'altro fronte

http://www.la-riviera.it/pages/oggi-a-sanr...irico-7818.html
view post Posted: 23/9/2016, 00:22     la vita è cambiata - Presentazioni
Credo che pultroppo la tua situazione sia condivisa da molte altre persone

Edited by Agent - 15/1/2017, 01:45
view post Posted: 4/2/2016, 01:44     I grandi complotti? Impossibile non scoprirli - Complotti
I grandi complotti? Impossibile non scoprirli

Un ricercatore ha formulato un'equazione che permette di stabilire quanto a lungo può essere mantenuto un segreto in funzione del numero di persone che ne sono a conoscenza, dimostrando l'assoluta inverosimiglianza di teorie come quella dei falsi sbarchi sulla Luna, che implicano un segreto condiviso da centinaia di migliaia di persone.

Le grandi cospirazioni non possono restare segrete molto a lungo: più persone sono coinvolte, prima vengono scoperte, e anche molto presto. Lo dimostra la formula elaborata da un ricercatore dell'Università di Oxford, Robert Grimes, che la illustra in un articolo pubblicato su “PLoS One”.

Grimes - un fisico che lavora nella ricerca sul cancro – ha iniziato a interessarsi al problema a causa del numero di lettere ed e-mail che riceve da persone convinte dell'esistenza di cospirazioni che riguardano argomenti scientifici, come per esempio il presunto complotto per far credere agli sbarchi sulla Luna che, secondo queste persone, non sarebbero mai avvenuti. "Di solito si respingono a priori queste teorie del complotto e non si bada ai loro sostenitori, ma io ho voluto seguire l'approccio opposto, e vedere se e come sarebbero possibili le cospirazioni. Così, ho considerato il requisito essenziale per un buon complotto, il segreto.”

I grandi complotti? Impossibile non scoprirli

Grimes ha quindi sviluppato un'equazione che esprime la probabilità che un complotto venga scoperto perché qualcuno fa la spia oppure commette un paso falso. La formula prende in considerazione numerosi fattori, dal numero dei congiurati al tempo per cui si protrae la cospirazione fino al rischio di morte dei cospiratori in base alla loro età.

Tuttavia, per funzionare l'equazione richiede una stima realistica della possibilità che ogni singolo individuo sveli il complotto, direttamente o indirettamente. Grimes si è quindi basato sui dati relativi a tre complotti reali che sono stati scoperti - fra cui il famigerato progetto Prisma della National Security Agency degli Stati Uniti smascherato da Edward Snowden - e ha poi calcolato il tempo che quattro ipotetiche cospirazioni avrebbero potuto resistere senza essere scoperte al di là
di ogni dubbio.

Per esempio, la simulazione di sbarchi lunari mai avvenuti avrebbe richiesto la partecipazione al complotto di ben 411.000 persone e questo avrebbe portato alla sua scoperta entro 3 anni 8 mesi. Il presunto complotto per nascondere che le vaccinazioni non sono sicure richiederebbe il silenzio di 22.000 persone, se si includono fra i cospiratori solo l'OMS e i Centri statunitensi per il controllo delle malattie, ma di ben 736.000 persone se, come sarebbe più plausibile, si includessero le aziende farmaceutiche. In questo caso il segreto resisterebbe solo per 3 anni e 2 mesi. Più o meno lo stesso tempo (3 anni e 3 mesi) potrebbe resistere l'occultamento di una cura per il cancro da parte delle grandi case farmaceutiche, e poco di più (3 anni e 9 mesi) durerebbe una frode sui cambiamenti climatici.

160546651-4ef88862-bb6d-4e63-8e21-3da4bb8b71a3

Fonte: www.lescienze.it/news/2016/01/27/ne...lenzio-2944662/
view post Posted: 17/12/2015, 22:55     Studi Scientifici: I Complottisti Sono Più Sani di Mente ideologia-anti-complottista - Complotti
Studi Scientifici: I Complottisti Sono Più Sani di Mente
ideologia-anti-complottista

di K. Barrett


Recenti studi scientifici realizzati da psicologi e sociologi statunitensi e britannici hanno chiarito che, al contrario di quanto tradizionalmente affermato dagli stereotipi diffusi dalla cultura di massa, le persone etichettate come 'teorici della cospirazione' siano più sane ed equilibrate rispetto a chi accetti supinamente le versioni ufficiali dei fatti contestati.

Lo studio più recente è stato pubblicato lo scorso 8 luglio dagli psicologi Michael J. Wood e Karen M. Douglas dell'Università del Kent (Regno Unito), ed intitolato E l'edificio 7? Studio Psicologico Sociale di Discussione Online sulle Teorie del Complotto sull'11 Settembre. Lo studio ha confrontato numerosi commenti di tipo 'cospirazionista' e 'convenzionalista' (anti-cospirazione) postati da utenti di siti di notizie online.

Con grande stupore i ricercatori hanno scoperto che i commenti a supporto della teoria del complotto fossero numericamente maggiori rispetto a quelli che continuano a reputare valide le versioni dei fatti diramate dai media convenzionali. "Dei 2.174 commenti raccolti, 1.459 sono stati catalogati come cospirazionisti e 715 come conventionalisti." In altri termini, coloro che non credono alle versioni ufficiali di eventi come l'11 Settembre e l'omicidio di JFK sono risultati essere più del doppio rispetto a quelli che credono alle versioni ufficiali. Il che in parole povere significa che il rapporto si è invertito, e che la saggezza convenzionale oggi è espressa dai cosiddetti 'complottisti' mentre le persone che non credono alle cospirazioni stanno diventando una sparuta minoranza.

Forse anche perché il loro parere ha smesso di essere espressione della maggioranza, i commentatori anti-cospirazione tendono a tradire una forte rabbia ed ostilità: "Lo studio ha dimostrato che i soggetti che supportano la versione ufficiale dei fatti dell'11 Settembre si esprimano generalmente in modo più ostile nel tentativo di persuadere chi la pensi in modo diverso da loro."

Si è inoltre appurato che gli avversatori delle teorie del complotto, oltre che fortemente ostili siano anche più tendenti al fanatismo. Secondo costoro la versione in base a cui 19 arabi - nessuno dei quali provvisto di adeguate competenze di pilotaggio aereo - sarebbero riusciti a commettere il crimine del secolo sotto la direzione di un dializzato nascosto in una grotta in Afghanistan - sia indiscutibilmente vera. I cosiddetti cospirazionisti - dal canto loro - non pretendono di avere una teoria del tutto esplicativa degli eventi: "Coloro che sostengono che gli attentati dell'11 Settembre siano stati in realtà una cospirazione governativa, non mirano a promuovere una specifica teoria esaustiva, ma solo a smentire la versione ufficiale. "

In breve, lo studio scientifico elaborato da Wood e Douglas suggerisce che lo stereotipo negativo del 'complottista' - un fanatico ostile che sostiene con piglio ideologico le versioni ipotizzate dalla propria 'setta' di appartenenza - in realtà descriva accuratamente le persone che difendono le versioni ufficiali, non quelle che le contestano.

Lo studio ha anche rilevato come i cosiddetti 'complottisti' abbiano una migliore visione d'insieme e discutano il contesto storico (ad esempio la contestualizzazione dell'assassinio di JFK rispetto ai fatti dell'11 Settembre) in misura maggiore degli anti-cospirazionisti. Ed ha verificato che i cosiddetti complottisti non amino sentirsi definire 'complottisti' o 'teorici della cospirazione.'

Questi risultati sono amplificati nel nuovo libro Conspiracy Theory in America del politologo Lance DeHaven-Smith, pubblicato all'inizio di quest'anno dalla University of Texas Press. Il prof. DeHaven-Smith spiega come mai la gente non gradisca essere definita: 'complottista.' L'espressione - infatti - fu coniata ed ampiamente diffusa dalla CIA per diffamare coloro i quali sollevassero dei dubbi sulla versione ufficiale dell'assassinio di JFK!

"La campagna della CIA per diffondere l'espressione 'teoria del complotto' ebbe l'obiettivo di rendere chi non credesse alle versioni ufficiali oggetto di scherno e ostilità da parte del resto della collettività, e bisogna ammettere - purtroppo - che si sia rivelata una delle iniziative di propaganda di maggior successo di tutti i tempi."

In altri termini, coloro i quali usino sotto forma di insulto le espressioni 'teoria del complotto' e 'complottista' stanno reagendo nel modo preventivato ad una documentata, indiscussa, storicamente reale cospirazione posta in essere dalla CIA per coprire l'assassinio di JFK. Quella campagna, tra l'altro, era completamente illegale, e gli agenti della CIA che vi furono coinvolti erano dei criminali; alla CIA infatti è legalmente proibito di condurre operazioni sul territorio 'amico', tuttavia è dimostrato che essa infranga regolarmente il divieto, compiendo operazioni su territorio nazionale che spaziano dalla propaganda agli omicidi.

DeHaven-Smith spiega anche il motivo per cui coloro che dubitano delle versioni ufficiali di eventi criminali tendano ad analizzare il contesto storico. Nel suo testo fa notare che un gran numero di sinistre cospirazioni che si rivelarono autentiche appaiano fortemente relazionate a molti crimini di stato contro la democrazia non ancora provati. Un esempio evidente è il legame tra gli omicidi di JFK ed il fratello Robert FK, i quali hanno dato via libera a presidenze intenzionate a proseguire la guerra del Vietnam (e a delegare l'emissione della moneta a banche private - n.d.t.). Secondo DeHaven-Smith, è necessario discutere gli "omicidi Kennedy" al plurale, in quanto i due omicidi sembrano essere aspetti di uno stesso grande crimine.

La psicologa Laurie Manwell della University of Guelph concorda sul fatto che l'etichetta coniata dalla CIA: "teoria della cospirazione" ostacoli le normali funzioni cognitive. In un articolo pubblicato sulla rivista America Behavioral Scientist (2010), asserisce che le persone 'anti-complottiste' non siano in grado di ragionare con lucidità su tali apparenti crimini contro la democrazia proprio per effetto della loro incapacità di elaborare informazioni che siano in conflitto con una linea di pensiero che è stata loro inculcata precedentemente.

Nello stesso numero di ABS, il professor Steven Hoffman dell'Università di Buffalo aggiunge che gli individui avversi alle teorie cospirative siano soggetti a un forte bias di conferma (v. correlati) - cioè, piuttosto che prendere atto della realtà dei fatti cercano informazioni che confermino le loro convinzioni preesistenti facendo ricorso a meccanismi irrazionali (come l'etichetta di 'complottista') per evitare di confrontarsi con informazioni contrastanti.

L'estrema irrazionalità di chi attacca le 'teorie della cospirazione' è stata abilmente esposta anche dai docenti di comunicazione della Boise State University Ginna Husting e Martin Orr. In un articolo del 2007 dal titolo Meccanismi Pericolosi: l'Idea di Complottismo Come Strategia di Esclusione Transpersonale hanno scritto:

«Se io ti definisco complottista, mi importa ben poco se tu stia effettivamente dibattendo di una cospirazione realmente esistente o se hai semplicemente sollevato una questione che preferisco non vedere ... Attraverso questa etichetta sto strategicamente escludendoti dalla sfera in cui discorsi pubblici e dibattiti generano dei conflitti."

Ma ora, grazie a internet, le persone che mettono in dubbio le versioni ufficiali non sono più escluse dal dibattito pubblico; dopo 44 anni di dominio la campagna ordita dalla CIA per soffocare il dibattito pubblico con la scusa del complottismo è giunta alla frutta. Negli studi accademici, così come nei commenti postati sotto le notizie, le voci che sostengono la possibilità del complotto sono ormai più numerose - e più razionali - di quelle che continuano a supportare le versioni ufficiali.
Per cui c'è poco da meravigliarsi se i cosiddetti 'anti-complottisti' appaiano sempre di più come una setta di ostili, paranoici individui manovrabili.



Articolo in lingua inglese, pubblicato sul sito Veterans Today
Link diretto:
www.veteranstoday.com/2013/07/14/whatabout7/
view post Posted: 30/12/2014, 21:42     Incidente del passo Djatlov - Misteri
L'incidente del passo di Djatlov (in russo Гибель тургруппы Дятлова Gibel' turgruppy Dyatlova, trad. La morte del gruppo di turisti di Dyatlov) è avvenuto la notte del 2 febbraio 1959, quando nove escursionisti accampati nella parte settentrionale dei monti Urali hanno trovato la morte per cause rimaste sconosciute. Il fatto avvenne sul versante orientale del Cholat Sjachl (Холат Сяхл), che in mansi significa montagna dei morti. Il passo montano scena dei fatti è stato da allora rinominato passo di Djatlov (Перевал Дятлова), dal nome del capo della spedizione, Igor' Djatlov (Игорь Дятлов).

La mancanza di testimonianze oculari ha provocato la nascita di molte congetture in merito alle cause dell'evento. Investigatori sovietici stabilirono che le morti erano state provocate da "una irresistibile forza sconosciuta". Dopo l'incidente la zona fu interdetta per tre anni agli sciatori e a chiunque altro intendesse avventurarcisi.[1] Lo svolgimento dei fatti resta tuttora non chiaro anche per l'assenza di sopravvissuti.[2][3]

Chi fece le indagini all'epoca stabilì che gli escursionisti avevano lacerato la loro tenda dall'interno, correndo via a piedi nudi nella neve alta e con una temperatura esterna proibitiva (probabilmente attorno ai −30 °C). Nonostante i corpi non mostrassero segni esteriori di lotta, due delle vittime avevano il cranio fratturato, due avevano le costole rotte e a una mancava la lingua.[1] Sui loro vestiti fu riscontrato un elevato livello di radioattività[1], altre fonti invece ridimensionano fortemente la contaminazione degli abiti, datandola anteriormente alla spedizione.[4]


Premesse

Alcuni ragazzi avevano formato un gruppo per intraprendere un'escursione con gli sci di fondo attraverso gli Urali settentrionali, nell'oblast' di Sverdlovsk (Свердло́вская о́бласть). Il gruppo, guidato da Igor Djatlov, era composto da otto uomini e due donne; la maggior parte di loro erano studenti e neolaureati dell'Istituto Politecnico degli Urali (Уральский Политехнический Институт, УПИ), ora Università Tecnica di Stato degli Urali. I componenti erano:

Igor Alekseevič Djatlov (Игорь Алексеевич Дятлов), capospedizione, 13/1/1936
Zinaida Alekseevna Kolmogorova (Зинаида Алексеевна Колмогорова), 12/1/1937
Ljudmila Aleksandrovna Dubinina (Людмила Александровна Дубинина), 11/1/1936
Aleksandr Sergeevič Kolevatov (Александр Сергеевич Колеватов), 16/11/1934
Rustem Vladimirovič Slobodin (Рустем Владимирович Слободин), 11/1/1936
Jurij Alekseevič Krivoniščenko (Юрий Алексеевич Кривонищенко), 7/2/1935
Jurij Nikolaevič Dorošenko (Юрий Николаевич Дорошенко), 12/1/1938
Nikolaj Vasil'evič (Vladimirovič?) Thibeaux-Brignolles (Николай Васильевич (Владимирович?) Тибо-Бриньоль), 5/6/1935
Aleksandr Aleksandrovič Zolotarëv (Александр Александрович Золотарёв), 2/2/1921
Jurij Efimovič Judin (Юрий Ефимович Юдин), 1937

L'obiettivo della spedizione era raggiungere l'Otorten (Отортен), un monte che si trova 10 chilometri più a nord rispetto al punto in cui avvenne l'incidente. Il percorso scelto, in quella stagione, era valutato di III categoria, vale a dire la più difficile. Tutti i membri della spedizione avevano alle spalle esperienza sia di lunghe escursioni sugli sci che di spedizioni di montagna.

Il gruppo arrivò il 25 gennaio in treno a Ivdel', una cittadina che si trova al centro della parte settentrionale della oblast' di Sverdlovsk. Andarono quindi fino a Vižaj (Вижай) - l'ultimo insediamento abitato prima delle zone che intendevano esplorare - a bordo di un camion. Il 27 gennaio si misero in marcia da Vižaj verso l'Otorten. Il giorno seguente uno di loro, Jurij Judin, fu costretto a tornare indietro a causa di un'indisposizione.[1] A questo punto il gruppo si componeva di nove persone.

I diari e le macchine fotografiche ritrovati attorno al loro ultimo campo rendono possibile ricostruire il percorso della spedizione fino al giorno precedente all'incidente. Il 31 gennaio il gruppo arrivò sul bordo di un altopiano e iniziò a prepararsi per la salita. In una valle boscosa depositarono il cibo in eccesso e l'equipaggiamento che sarebbe dovuto servire per il viaggio di ritorno. Il giorno dopo, il 1º febbraio, gli escursionisti cominciarono a percorrere il passo. Sembra che avessero progettato di valicare il passo e accamparsi per la notte successiva dall'altro lato, ma a causa del peggioramento delle condizioni climatiche, che scaturì nell'inizio di una tempesta di neve, la visibilità calò di molto e persero l'orientamento, deviando verso ovest, verso la cima del Cholat Sjachl. Quando capirono l'errore commesso, decisero di fermarsi e accamparsi dove si trovavano, sul pendio della montagna, probabilmente in attesa del miglioramento delle condizioni climatiche.
Le ricerche

Era stato precedentemente concordato che, non appena fossero rientrati a Vižaj, Djatlov avrebbe telegrafato alla loro associazione sportiva. Si pensava che questo sarebbe dovuto accadere non più tardi del 12 febbraio, ma anche quando tale data era trascorsa senza che fosse giunto alcun messaggio, nessuno reagì in quanto un ritardo di qualche giorno in simili spedizioni era una cosa piuttosto normale. Solo quando i parenti degli escursionisti chiesero che fossero organizzati dei soccorsi, il capo dell'istituto mandò un primo gruppo di soccorso composto da studenti e insegnanti volontari: era il 20 febbraio.[1] In seguito vennero coinvolti anche la polizia e l'esercito, ai quali fu ordinato di partecipare alle ricerche utilizzando aeroplani e elicotteri.

Il 26 febbraio fu ritrovata la tenda abbandonata sul Cholat Sjachl. La tenda era molto danneggiata e da questa si poteva seguire una serie di impronte che si dirigevano verso i boschi vicini (sul lato opposto del passo, circa 1,5 km a nord-est) ma dopo 500 metri scomparivano nella neve. Sul limitare della foresta, sotto un grande cedro, la squadra di ricerca trovò i resti di un fuoco, insieme ai primi due corpi, quelli di Jurii Krivoniščenko e Jurij Dorošenko, entrambi scalzi e vestiti solo della biancheria intima. Tra il cedro e il campo furono ritrovati altri tre corpi — Djatlov, Zina Kolmogorova e Rustem Slobodin — morti in una posizione che sembrava suggerire che stessero tentando di ritornare alla tenda.[1] I corpi erano lontani l'uno dall'altro, rispettivamente alla distanza di 300, 480 e 630 metri dall'albero di cedro.

I quattro escursionisti rimasti furono cercati per più di due mesi. Vennero infine ritrovati il 4 maggio, sepolti sotto quattro metri di neve in una gola scavata da un torrente all'interno del bosco sul cui limitare sorgeva il cedro.
L'indagine
La tenda come venne trovata dai soccorritori il 26 febbraio 1959. La tenda era stata squarciata dall'interno e la maggior parte degli sciatori era corsa via in calzetti o a piedi nudi.

Dopo il ritrovamento dei primi cinque corpi partì immediatamente un'inchiesta legale. Un primo esame medico non trovò lesioni che avrebbero potuto condurre i cinque alla morte e si concluse così che fossero deceduti per ipotermia. Il corpo di Slobodin[5] aveva una piccola frattura cranica, giudicata però non così grave da poter essere letale.

L'autopsia dei quattro corpi trovati in maggio complicò il quadro della situazione: il corpo di Thibeaux-Brignolle aveva una grave frattura cranica e sia la Dubinina che Zolotarev avevano la cassa toracica gravemente fratturata. Secondo il dottor Boris Vozrozhdenny la forza richiesta per provocare fratture simili era estremamente elevata, la paragonò alla forza sviluppata da un incidente stradale. Da notare che i corpi non mostravano ferite esterne, come se fossero stati schiacciati da una elevatissima pressione e la donna era inoltre priva della lingua[1]. In realtà sia i traumi che la "sparizione" della lingua possono essere facilmente spiegati: la gola dove vennero trovati era sufficientemente profonda per provocare danni di quell'entità in caso di caduta e l'intervallo di tempo trascorso tra la morte ed il ritrovamento dei corpi favorì la decomposizione di questi ultimi[4] come ben visibile dalle foto scattate dai soccorritori.[5]

Inizialmente si suppose che gli indigeni Mansi potevano aver attaccato e ucciso gli escursionisti per aver invaso il loro territorio, ma le indagini mostravano che la natura delle morti e la scena ritrovata non supportavano tale tesi; le impronte degli escursionisti, soli, erano ben visibili e i corpi non mostravano alcun segno di colluttazione corpo a corpo.[1]

Anche se la temperatura era molto rigida (tra i -25° e i -30°) con una tempesta di neve che infuriava, i corpi erano solo parzialmente vestiti. Alcuni avevano solo una scarpa, altri non le avevano affatto o indossavano solo i calzini.[1] Una spiegazione a questo potrebbe essere data da un comportamento chiamato undressing paradossale[6] che si manifesta nel 25% dei morti per ipotermia[senza fonte]. In tale fase, che tipicamente si verifica nel passaggio tra uno stato di ipotermia moderato a uno grave mentre il soggetto diventa disorientato confuso e aggressivo, si tende a strapparsi i vestiti di dosso avvertendo una falsa sensazione di calore superficiale e finendo così per accelerare la perdita di calore corporeo. Dal momento che alcuni corpi vennero ritrovati avvolti in pezzi di vestiti stracciati non appartenenti a loro, si ipotizza che essi vennero tolti ai rispettivi appartenenti dopo la morte, in maniera tale da permettere ai sopravvissuti di coprirsi meglio.[7]

Dei giornalisti riportarono le parti accessibili del fascicolo dell'inchiesta che dicevano che:

Sei membri del gruppo erano morti per ipotermia, mentre gli altri tre per una combinazione di ipotermia e traumi fatali[7].
Non esistevano tracce della presenza di altre persone nella zona né nelle aree circostanti.
La tenda era stata lacerata dall'interno.
Le tracce che partivano dal campo suggerivano che tutti i membri lo avessero lasciato di comune accordo, a piedi.
Le vittime erano morte tra le sei e le otto ore dopo aver consumato l'ultimo pasto.
A confutazione della teoria di un attacco da parte dei Mansi, il Dottor Boris Vozrozhdenny affermò che i traumi fatali dei tre corpi non potevano essere stati provocati da un altro essere umano, "perché la potenza dei colpi era stata troppo forte e al contempo non aveva danneggiato alcun tessuto molle".[1]
Analisi forensi avevano mostrato che i vestiti di alcune delle vittime presentavano alti livelli di contaminazione radioattiva.[1]

Il verdetto finale fu che i membri del gruppo erano tutti morti a causa di una irresistibile forza sconosciuta. L'inchiesta fu ufficialmente chiusa nel maggio 1959 per assenza di colpevoli. Secondo alcune fonti i fascicoli furono mandati in un archivio segreto e le fotocopie del caso, con alcune parti comunque mancanti, furono rese disponibili solo negli anni novanta[1], ma altre smentiscono totalmente questi fatti, affermando che il caso non venne mai classificato e che le parti mancanti consistevano in una busta all'interno della quale c'era solo della comune corrispondenza.[4]
Polemiche sull'inchiesta

Alcuni ricercatori sostengono che alcuni fatti furono trascurati, forse volutamente ignorati, dalle autorità:[2][3]

Il dodicenne Yury Kuntsevich, che in seguito diventò il capo della Fondazione Djatlov di Ekaterinburg, partecipò al funerale di cinque degli escursionisti e ricordò che la loro pelle aveva "un'abbronzatura color bruno intenso".[1]
I vestiti degli escursionisti avevano un alto livello di radioattività; tuttavia la fonte della contaminazione non fu trovata.
Un altro gruppo di escursionisti, che si trovava circa 50 km a sud del luogo dell'incidente, riferì che quella notte avevano visto delle strane sfere arancioni verso nord (cioè in direzione del Cholat Sjachl) nel cielo notturno.[1] "Sfere" simili furono osservate con continuità anche a Ivdel' e nelle zone adiacenti nel periodo tra febbraio e marzo 1959 da vari testimoni indipendenti (tra cui il servizio meteorologico e membri dell'esercito).[1] Venne poi appurato il fatto che le "sfere" fossero lanci di missili balistici R-7.
Alcuni resoconti suggeriscono che nella zona si trovavano molti rottami di metallo, il che porta a sospettare che l'esercito avesse utilizzato l'area per manovre segrete e potesse essere stato interessato a un insabbiamento della questione.[1]

Avvenimenti successivi

Nel 1967, lo scrittore e giornalista di Sverdlovsk Yuri Yarovoi (Юрий Яровой) pubblicò il romanzo Высшей категории трудности (It. Al più alto livello di complessità)[8] ispirato all'incidente. Yarovoi aveva partecipato sia alle ricerche del gruppo guidato da Djatlov che all'inchiesta, con il ruolo di fotografo ufficiale della campagna di ricerca e della fase iniziale delle investigazioni accumulando così una conoscenza profonda degli eventi. Il libro fu scritto in epoca sovietica, durante la quale i dettagli dell'incidente erano mantenuti segreti, e Yarovoi evitò quindi di aggiungere dettagli che andassero oltre le versioni ufficiali e i fatti notori. Nel libro l'incidente veniva romanzato e c'era un finale molto più addolcito rispetto ai fatti reali, in quanto solo il leader del gruppo veniva trovato morto. Alla morte di Yarovoi, avvenuta nel 1980, tutto il suo archivio, contenente foto, diari e manoscritti, è andato perduto.

Alcuni dettagli della tragedia sono stati resi pubblici nel 1990 in alcuni articoli e discussioni apparsi sulla stampa locale di Sverdlosk. Uno degli autori fu il giornalista Anatoly Guschin (Анатолий Гущин). Gushin scrisse che ufficiali di polizia gli avevano accordato permessi speciali per studiare il fascicolo originale dell'inchiesta e usare tale materiale nelle sue pubblicazioni. Riassunse i suoi studi nel libro Цена гостайны - девять жизней (It. Il prezzo dei segreti di stato è di nove vite).[3] Altri ricercatori criticarono il testo per il fatto che si concentrava sulla rischiosa teoria della "sperimentazione di arma segreta sovietica".

Nel 2000 una rete televisiva regionale girò il documentario Тайна Перевала Дятлова (It. Il mistero del passo Djatlov). Con l'aiuto della troupe del documentario, una scrittrice di Ekaterinburg Anna Matveyeva (Анна Матвеева), pubblicò un romanzo/saggio con lo stesso titolo.[2] Nonostante il suo carattere di testo di narrativa, il libro della Matveyeva resta la maggior fonte di materiale documentale disponibile al pubblico riguardo all'incidente.

A Ekaterinburg è stata creata la Fondazione Djatlov, con l'aiuto dell'Università tecnica statale degli Urali guidata da Yuri Kuntsevitch (Юрий Кунцевич). Lo scopo della fondazione è convincere le autorità russe a riaprire il caso e di sostenere il Museo Djatlov per perpetuare il ricordo degli escursionisti scomparsi.

Nel 2014 l'americano Donnie Eichar presentò una nuova teoria che spiegherebbe l'incidente, secondo la quale quel giorno il passo sarebbe stato flagellato da una 'tempesta perfetta'. Da questa, grazie alla forma a cupola della Montagna dei Morti si sarebbero sviluppati dei violentissimi mini tornado proprio nei pressi dell'accampamento. Oltre all'assordante rumore, secondo Eichar la tempesta avrebbe generato anche una gran quantità di infrasuoni che, pur se non udibili dall'orecchio umano, hanno un effetto devastante sul corpo umano: avrebbero causato perdita di sonno, mancanza di respiro e un grandissimo panico. L'insieme di questi effetti avrebbe causato la follia e la morte dei ragazzi[9].

http://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_del_passo_Djatlov
view post Posted: 7/6/2014, 11:32     migliori libri su illuminati e massoneria? - Complotti
Ciao e benvenuto, leggiti "Il segreto degli illuminati" tratta più o meno tutta la storia degli illuminati e spiega come hanno influenzato la storia del mondo

http://www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__i...-illuminati.php
view post Posted: 15/2/2012, 18:24     Straker for president - Tanker Enemy and His Enemies
Vota Straker, ad ogni voto per straker viene abbattuto un aereo di linea

1052 replies since 23/9/2008